“Il motivo per cui il trauma non termina mai per il cervello è che esso lascia un residuo di un affetto non elaborato, dissociato, che il cervello non è in grado di elaborare”
~ L’ombra dello tsunami - Bromberg (2012).
Per trauma in psicopatologia si intende un’esperienza minacciosa estrema, insostenibile e inevitabile, di fronte alla quale l’individuo è impotente (Van Der Kolk 1994; Farina & Liotti, 2018).
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Philip Bromberg integra magistralmente i dati proveniente dalla psicoanalisi, dalla psicologia dello sviluppo, quelli del filone traumatico-clinici e neurobiologico, utili ad esplorare la difesa di fondo del trauma: la dissociazione (nota 1). Essa fu definita nel 1899 da Janet come la fobia delle memorie.
Molte intuizioni di quest’ultimo, dalle quali Freud prese poi le distanze, risultano inglobate nel modello teorico di Bromberg. Ad oggi, secondo Schore (2007) e Liotti (2018), i dati delle neuroscienze moderne sono propensi a validare empiricamente e corroborare in maniera maggiore le ipotesi avanzate da Janet. Il trauma e le sue manifestazioni dissociative (anche di tipo somatoformi) sarebbero il prodotto di idee fisse subconsce non integrate nella personalità attuale del soggetto. Esse creerebbero i sintomi, intesi come attacchi apparentemente estranei, che attentano alla coerenza interna del senso di sé; Bromberg definisce tali stati, risultanti da una disintegrazione funzionali, come “non-me” - in quanto esclusi dallo scenario dell’auto-coscienza.
Una buona ricerca sul trauma in ambito recente è stata anche effettuata da Van Der Kolk (1994). In essa vengono confermate le dinamiche psico-viscerali descritte dal modello polivagale di Porges (2007): grazie ad esse è possibile comprendere i meccanismi psicobiologici responsabili degli stati dissociativi post-traumatici.
L’idea che emerge dalle ricerche di neuroscienze attuali è che a partire dal trauma (inteso quale evento cumulativo cronicizzatosi ideoaffettivamente) si crei una rottura di tipo funzionale tra le numerevoli connessioni dell’area alta e dell’area bassa dell’emisfero destro, emisfero deputato a processare specificatamente le emozioni dell’individuo - date le sue connessioni con l’area limbica e con i centri di controllo simpatici e parasimpatici. Tutto questo, si tradurrebbe a sua volta in un collasso delle strategie di attaccamento e - dunque - in uno dialogo compromesso e alterato tra i sistemi motivazionali intra e intersoggettivi, in cui emozioni, cognizioni e comportamenti risulterebbero non adeguatamente associati e sintonizzati. “Come una melodia è composta da un susseguirsi di un numero limitato di note musicali fondamentali, così la relazione umana è composta dal susseguirsi delle attivazioni e disattivazioni di questi di- versi sistemi motivazionali a base innata. Il Sé, o autocoscienza, emerge dall'esperienza intersoggettiva continuamente modulata dai diversi registri motivazionali a base innata” (Liotti, 2005). A tal proposito (a) viene alla mente in tutta la sua praticità la teoria del codice multipo elaborata da Bucci (1997) e (b) la lettura del trauma dissociativo di matrice Janetiana, quale restringimento delle funzioni mentali.
“Da un punto di vista cognitivo un’altra caratteristica del potere disintegrante dell’esperienza traumatica è la difficoltà o l’impossibilità di dare a essa un significato unitario e coerente. L’esperienza traumatica, poichè dissociante, non riesce a essere collocata nel sistema ordinato di memorie, e non riesce a integrarsi con le altre informazioni e significati di cui un individuo normalmente dispone e che compongono il senso di sé, la sua identità o, come la chiamava Pierre Janet, la sua sintesi personale (Liotti e Farina, 2011).
Altre volte lo stato dissociativo scompone la memoria degli eventi traumatici nelle sue diverse componenti (somatica, sensoriale, cognitiva, emotiva) impedendone una registrazione unitaria” (Farina & Liotti, 2018).
Quello che, in conclusione, pare chiaro è che un trauma quale singolo evento solitamente rappresenta la punta dell’iceberg di un ambiente relazionale stabilmente instabile o di una costante atmosfera traumatica: tutti ingredienti, questi, che minano l’acquisizione di ciò che Bowlby (1989) definisce Base Sicura.
L’attaccamento sicuro, infatti, è il fattore di protezione primario in grado di attutire gli effetti del trauma sull’individuo. Pertanto, la ricerca sull’attaccamento e gli approfondimenti dell’infant research nel primo anno di vita permettono oggi sia una comprensione della psicotraumatologia fondata sullo studio delle prime esperienze relazionali ed intersoggettivo che uno studio qualitativo delle funzioni della mente.
NOTE:
1. La dissociazione è dunque un processo di dis-integrazione, la mente viene a perdere la sua capacità di integrare alcune funzioni superiori, e svariate osservazioni cliniche stabiliscono un legame causa-effetto tra trauma e dissociazione. (Dutra et al, 2009) La dissociazione è la manifestazione di una sottile disorganizzazione del funzionamento cerebrale ingenerata dall'effetto dirompente delle emozioni associate con l'evento traumatico. (…)Essa, secondo le teorie elaborate da Jackson e Janet, consiste nella perdita dell'integrazione tra differenti livelli gerarchici – e cioè le funzioni della mente. Le conseguenze di tale disintegrazione si manifesteranno in maniera duplice: da una parte con l’assenza della funzione di integrazione (per esempio con la perdita del senso di unità di sé di uno stato di depersonalizzazione), dall'altra con l'emergere incontrollato delle funzioni inferiori precedentemente integrate (per esempio l'affiorare involontario di una memoria traumatica, oppure un'improvvisa perdita del controllo delle emozioni)”. (Liotti, 2005; Farina & Liotti, 2018). Il ricorso alla dissociazione in seguito ad episodi isolati e particolari non è patologico in sé, è un suo uso abituale che rende tale strategia di adattamento disfunzionale e non adattiva (Schore, 2007).
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• BIBLIOGRAFIA
-Bowlby, J. (1989). Una base sicura. Cortina, Milano.
-Bromberg, P. M. (2012). The shadow of the tsunami: And the growth of the relational mind. Routledge.
-B Dutra L., Bureau J. F., Holmes B., Lyubchik A. & Lyons-Ruth K. (2009), Quality of early care and childhood trauma: A prospective study of developmental pathway to dissociation. Journal of Nervous and Mental Diseases, 197, 6, pp. 383-390.
-Farina, B., & Liotti, G. (2018). Dimensione dissociativa e trauma dello sviluppo. PSICOBIETTIVO.
-Janet, P. (1889), L’automatisme Psychologique [Automatic Psychology]. Paris: Alcan.
-Liotti, G. (2005). Trauma e dissociazione alla luce della teoria dell’attaccamento. Infanzia e adolescenza, 4(3), 130-44.
-Porges, S. W. (2007). The polyvagal perspective. Biological psychology, 74(2), 116-143.
-Schore, A. N. (2007). Review of Awakening the dreamer: Clinical journeys by Philip M. Bromberg. Psychoanalytic Dialogues, 17(5), 753-767.
-Van der Kolk, B. A. (1994). The body keeps the score: Memory and the evolving psychobiology of posttraumatic stress. Harvard review of psychiatry, 1(5), 253-265.
Dott. Maurilio Verdesca
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