#Appunti (personali) sul cambiamento 2.
Quante occasioni perdiamo? Quante opportunità barattiamo per restare noi stessi e quante per non farlo? Chi scegliamo d’essere ogni istante? A questi interrogativi non si può - per lo meno una volta per tutte - rispondere in maniera affermativa e sbrigativa. Le risposte sono, anzi, rappresentate dalle strade su cui impiantiamo la nostra vita, il nostro percorso. Queste risposte, si condensano in un processo: la costruzione dell’identità segue questi andamenti, talvolta tortuosi e lenti ma, alla fine dei conti, bellissimi – proprio come alcuni film di Bergman, complessi come la trama della serie Dark. Onestamente credo - in maniera del tutto irrazionale - che nella vita (sia plausibile pensare che) nulla accada per caso. Al riguardo solleverei milioni di idee connesse a valori personali e non, dunque sorvolo, sottolineandone la portata puramente personale che attribuisco a questo concetto. Freud - per quanto scritto - forse con notevole superficialità, mi darebbe del nevrotico, io (con altrettanta parte) gli darei del cocainomane (1). Qualora qualcuno di voi, giustamente, obiettasse in egual modo la mia posizione, potrei invitarlo a riflettere che, aldilà di questioni poco inerenti con questa sede, dall’esperienza non si può non apprendere (parafrasando Bion & Watzlawick). In altre parole, non si può non portare traccia del nostro passato; questo, giace come le nostre orme sulla neve e i nostri piedi nella sabbia. Fra tutte le esperienze, è quella del dolore che più ci mette a contatto con i nostri sentimenti profondi. E’ una lotta continua il dolore, è una gara nella quale resistere per esistere non sempre è facile. Non giochiamo affatto in casa quando siamo a faccia faccia con le difficoltà. Poco conta che esse provengano da fuori: le viviamo sempre dall’interno (2). L’estrema duttilità dello spirito umano e la notevole plasticità della mente, rendono possibile, almeno in potenza, che ognuno perisca e nasca infinite volte, rialzandosi, come una fenice, dalle proprie ceneri decisamente più forte di prima: superandosi. Avrete sicuramente sentito la storia del “ciò che non uccide rende più forti” o quella del “a furia di cadere hai imparato a camminare”. Ecco: credo siano veritiere. Nella vita, infatti, non esistono esperienze vuote o sbagliate, esistono esperienze belle ed, altre, orribili. Tuttavia, le esperienze restano; che ci piacciano o meno faranno pur parte della nostra collezione e, in un modo o nell’altro, saranno traccia di noi. Nelle situazioni di dolore cronico (psichico o somatico) il nostro corpo è, su vari livelli, turbato e noi, in primis, ne siamo coinvolti. Ebbene sì, da ogni difficoltà impariamo molto riguardo noi stessi, anche lì dove sembrerà tutto buio sarà possibile venirne fuori, come fanno sia il sole dopo ogni notte stellata che la natura dopo ogni tempesta. E' questo quello che in psicologia si definisce crescita post-traumatica. La verità è che la vita, essa stessa, è un mistero. Nessuno di noi è in grado di dire come si è ritrovato dentro il proprio corpo, incarnandone la coscienza. Ci siamo ritrovati nella vita, senza possibilità di scelta alcuna. Possiamo interrogarci da scienziati di fronte ad essa senza, però, poter dare tutte le dovute risposte del caso, possiamo solo darle un senso, mai univoco. In quanto viventi, dovremmo dare il meglio di noi stessi, sfruttando al meglio le risorse che nell’immediato possiamo implementare. Forse è questo che ci fa delle persone migliori: dotare di senso la nostra esperienza quotidiana, scegliendo di essere ogni giorno e ancora noi stessi, con tutte le nostre difficoltà e le nostre risorse cui il mondo potrebbe ancora non disporre. L’uomo per sua natura non può solamente vivere ma è destinato a partecipare alla vita. Ciò che conta è come utilizziamo quello che abbiamo: come ricicliamo quello che nella vita abbiamo appreso? Sappiamo dargli forma e significato nuovi? (3) Ti impegni ogni giorno ad essere te stesso? E tu, quale opportunità sei per il mondo e per l’altro?
Note:
(1) E’ bene impugnare le teorie quando servono, è bene poi lasciarle quando necessario. Si rimanda a ‘ Siamo le nostre teorie?’ (2) Studi recenti suggeriscono che il sistema cerebrale, infatti, interpreta il dolore emotivo nelle stesse strutture addette a processare quello fisico. (3) “Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”.
Letture consigliate:
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Psicoanalitica_Mente Maurilio Verdesca
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