#Appunti sul cambiamento 1.
Ogni azione che muoviamo è sempre per qualcuno.
Anche lì dove sembra rimandare a noi, essa, è così impercettibilmente smembrata e spogliata delle sue vere finalità che, in ultimo, risulta essere (solo in via apparente o manifesta) di nostro possesso, quando nella sostanza è (latentemente) d’altro destinatario.
Tutte le nostre mosse, spesso a nostra insaputa, sono rivolte a dimostrare e comunicare qualcosa alle parti che ci abitano. Dette parti, al pari di fantasmi, restano ‘aperte in background’ nella nostra coscienza, persistendo nel farci delle domande, attendendo delle risposte. Tali parti non sono altro che le nostre persone significative che abbiamo incontrato, che ci hanno cambiato e i contesti affettivi che connotavano il nostro rapporto. E’ proprio come se le avessimo incapsulate dentro di noi, creandone una copia. In fin dei conti il nostro cosmo emotivo, le galassie in cui ci muoviamo e che mai abbandoniamo sono le nostre esperienze affettive passate.
Nell’ottica di Freud ogni pulsione (ogni azione) è atta a ristabilire uno stato anteriore, definendo un equilibrio omeostatico. Ma non è solo questo. Secondo Freud, infatti, le relazioni (oggettuali) che intratteniamo sarebbero solo un semplice mezzo per scaricare stati pulsionali-eccitatori infantili coincidenti con i desideri libidici, mai soddisfatti. Oggi sappiamo, tale visione, essere stata abbondantemente rivista dai filoni relazionali e intersoggettivi in psicoanalisi. Il nostro mondo interiore, infatti, non è una collezione di esperienze detenute e pronte ad evadere in maniera più o meno prepotente e perentoria dalla loro gabbia. Il nostro mondo interno, invece, consiste in un insieme di mattoni sovrapposti, frutto della mobilitazione di materiali e risorse congiunte, costruiti insieme alle altre persone significative che, al pari di un calco, hanno lasciato un segno profondo nella nostra struttura e addirittura - per dirla come Seung - nel nostro Connettoma. Il nostro io è in sostanza una maglia intrecciata (almeno) a quattro mani, ogni persona con cui abbiamo avuto a che fare, insomma, ha suonato con noi una sinfonia, più o meno armoniosa, che spesso e volentieri ricerchiamo. Spesso la psicopatologia non è altro che una riproposizione di comportamenti e modalità attualmente non più valide perché orientate invano allo scopo originario per cui erano impiegate e finalizzate, fissate e bloccate nel passato. La loro funzione attuale sarebbe, dunque, quella di richiamare le attenzioni che non ci sono state date, di mobilitare tutto l’affetto che abbiamo desiderato dai nostri fantasmi. Sono strategie, appunto, che un tempo erano efficaci e che, invece, oggi appaiono in contrasto con i contesti che abitiamo, con le relazioni che viviamo.
“Coloro che conoscono i fantasmi ci dicono che anelano a essere liberati dalla loro vita di fantasmi e condotti a riposare come antenati. Come antenati continuano a vivere nella generazione presente, mentre come fantasmi sono costretti a ossessionarla con la loro vita di ombre ” (Hans Loewald, citato nel “L'esperienza della psicoanalisi” di Mitchell e Black, 1996).
Si tratta dunque di sottolineare come la vita adulta consista spesso in riproposizioni, in delle coazioni a ripetere di esperienze interattive precedenti. Ciò non dovrebbe affatto stupire il lettore o destarne eccessivo stupore, rammentando come l’inconscio della letteratura psicoanalitica sia stato più volte definito (da Freud e Matte Blanco) come privo di categorizzazioni spazio-temporali. Le emozioni, secondo questa ottica, proprio come tutte le forme d’arte che partoriscono, sono intrinsecamente eterne e impregnate di un potere che influisce sulla motivazione, sul significato e sul senso delle nostre azioni. “Noi sappiamo che i processi psichici inconsci sono in sé atemporali. (…) Essi non obbediscono ad una sequenza temporale, che il tempo non può modificarli in nessun modo” (Freud & Staude, 1975). Quanto più queste emozioni si mostrano precoci e dunque suscettibili al processo primario – e in maniera complementare sfuggenti ai processi simbolico-rappresentativi. Parliamo dunque di processi, in gergo, di tipo procedurale. Oltretutto, questo bisogno di tornare a mettere in scena i propri schemi esperienziali potrebbe spiegarsi con l’ipotesi avanzata da Freud (2007): “Abbiamo creduto di capire che i bambini ripetano esperienze sgradevoli (…) allo scopo di padroneggiar[le] in maniera attiva piuttosto che subirle solo passivamente”. E ancora: “Appena il bambino passa cioè dal ruolo passivo dell’esperienza subita al ruolo attivo del gioco, eccolo infliggere ad un suo compagno la sofferenza patita (…). Si potrebbe sostenere come il bambino cerchi di affermare una tendenza al padroneggiamento, tendenza che agiva indipendentemente dal carattere piacevole o spiacevole del ricordo.”
Dunque, anche lì dove agiamo in modi apparentemente contrari al nostro volere o al nostro desiderio cosciente, stiamo in realtà facendo qualcosa che riserva un tornaconto, che ci rende coerenti con delle premesse invisibili. Proprio per questo detengono in buona parte la nostra possibilità di scelta.
Le relazioni significative e ovviamente la psicoterapia possono cortocircuitare questi automatismi affettivi, rendendoci liberi e consapevoli e, pertanto, capaci di vivere nell’effettiva integrità e autenticità della nostra esperienza presente.
Dott. Maurilio Verdesca
______ BIBLIOGRAFIA ______________
Blanco, I. M., & Bria, P. (1981). L'inconscio come insiemi infiniti: saggio sulla bi-logica. Giulio Einaudi.
Freud, S., & Staude, A. (1975). Cinque conferenze sulla psicoanalisi. Boringhieri.
Freud, S. (2007). Al di là del principio del piacere (Vol. 73). Pearson Italia Spa.
Mitchell, S. A., & Black, M. J. (1996). L'esperienza della psicoanalisi: Storia del pensiero psicoanalitico moderno. Bollati Boringhieri.
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