1. INCIPIT
Le distanze fra noi e gli oggetti sono spazi minimi, mani invisibili che - sotto confini altrettanto tali - si legano tra loro, raccontandoci delle nostre appartenenze, definendo e rafforzando di intimi dettagli le esistenze. Nelle stanze vivono e rivivono la propria solitudine, scivolando qua e là nelle storie che hanno veduto per poi restituircele puntualmente in muta presenza. - Che rapporti hai tu con gli oggetti? Li butti via facilmente?
- Conservi solo quelli realmente connessi a momenti, affetti e a significati particolari? Alcune persone vivono con le cose un rapporto di utilità, altre emozionale, altre sacre; io, ad esempio, studio e colleziono i libri, accumulati sulle mie mensole e nel portatile. - Ma quanti millimetri intercorrono tra un appassionato e tra un accumulatore?
2. HOARDING DISORDER & DOC
Dal 2013 il Disturbo da accumulo (DA) è stato ufficialmente incluso nel DSM-5 all’interno della sezione II (categoria disturbi ossessivo-compulsivi e correlati).
Il disturbo ossessivo-compulsivo (si rimanda all'articolo di questo blog dal titolo " Definiamo il disturbo ossessivo compulsico) presenta delle sostanziali differenze con il disturbo da accumulo, nonostante essi siano correlati. Di seguito troverete quelli che la quinta edizione del DSM (manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) definisce sintomi caratterizzanti di entrambi i disturbi.
Mentre l’ossessivo-compulsivo potrebbe accumulare copiosamente oggetti (e pensieri) al fine di prevenire un danno ipotizzato come impellente e coercitivo (ad es. paura di contrarre malattie infettive allontanata munendosi di vari disinfettanti), l’accumulatore, invece, esibisce comportamenti di accumulo non direttamente connessi a un fine; egli, difatti, considera speciale o autentica quella stessa relazione che instaura con la sua moltitudine di oggetti (o addirittura di animali, come nel caso degli animal hoarders), motivo per cui taluni ne ravvedono una similitudine col disturbo delirante).
L’ossessivo-compulsivo, difatti, vive un rapporto indesiderato e tribolato con i propri sintomi, mentre l’accumulatore non manifesta alcuna capacità di vivere e rilevare il proprio disturbo: vive in ordine col suo disordine, volendo veicolare una metafora paradossale. Gli accumulatori, pertanto, sono letteralmente gli oggetti che posseggono, vale a dire che staccarsene sarebbe percepito come una lesione del proprio corpo simbolico, il sé (si rimanda all’articolo di questo blog dal titolo “Le persone che ci abitano”).
"Le rappresentazione mentale del nostro corpo (…) si estende includendo nei propri confini cose che, pur non appartenendo alla persona, sono percepite come tali (…). Quando siamo alla guida della nostra auto abbiamo una percezione corporea di noi stessi estesa fino al confine del veicolo stesso: riconosciamo lo spazio intorno a noi come se si trattasse del nostro corpo."
(Il disturbo da accumulo, p.23).
“Gli oggetti vivono parecchie volte.(…) Trasmessi a nuovi proprietari, conserveranno qualche traccia della loro vita interiore? Le cose non sono molto diverse dalle persone e dagli animali. Gli oggetti hanno un’anima e io mi sentivo in dovere di proteggerli da un destino troppo funesto.”
(Flem, 2004, pp.33-34)
3. Noi, gli oggetti e le nostre esistenze
Winnicott scrive come “le cose” a cui si affezionano i bambini rappresentino, in verità, i loro oggetti transizionali, ovvero, ciò che, via via, permette loro di acquisire graduale autonomia dalla totale dipendenza vitale che intercorre fra loro e i propri caregivers (genitori o chi ne fa le veci).
Come dire che l’oggetto diviene possibilità strumentale di crescita, che permette al bambino di continuare a sentire “nell’amorevole” abbraccio del suo orsetto i medesimi pattern emotivi inscritti nell’abbraccio materno.
Quanto detto, attesta come sia implicata, negli accumulatori adulti, un deficit riguardo la capacità di rappresentarsi le relazioni d’attaccamento (si rimanda all’articolo di questo blog dal titolo "come e perchè interagiamo: cenni sulla teoria dell'attaccamento"), altresì, egli non utilizza le cose alla stregua di strumenti per conferire concretezza alla propria identità, piuttosto: egli è una identità costituita di oggetti (da non intendersi in senso psicoanalitico).
Il legame con gli oggetti è, in questo senso, una maniera di combattere illusoriamente l’incessante fluire del tempo, contrastando il detto Eracliteo secondo cui lo stesso uomo non potrebbe mai bagnarsi due volte nella stessa acqua dello stesso fiume.
A tal proposito si riportano dei versi dal libro “Dalla vita degli oggetti”:
“Case, onde, nuvole e ombre (tetti blu scuro, mattoni bruni),
infine, siete diventate solo sguardo.
Quiete pupille degli oggetti, indomite, rilucenti di nero.
Sopravviverete alla nostra meraviglia,
al nostro pianto, alle nostre fragorose, infami guerre. “
(p.44, Adam Zagajewski)
Tengo a sottolineare come nei primi anni di vita gli esseri umani non siano in grado di tenere a mente gli oggetti e di effettuare con essi operazioni mentali: si pensi alla necessità di trattare le quantità come qualità, di contare utilizzando necessariamente le dita della mano o di effettuare semplici operazioni matematiche utilizzando ausili quali biglie, regoli, ecc. Il bambino non è in grado di “interiorizzare” o, in altre parole, di trattare i pensieri come cose (in gergo: pensiero simbolico). Ha bisogno di vedere la mamma, di toccarla, per essere davvero sicuro che lei esista nel suo mondo.
E’ possibile che traumi relazionali ripetuti nel tempo, perdite laceranti, condizioni di isolamento sociale, eventi stressanti o lesioni cerebrali - tutti fattori confermati dalla ricerca sul tema - siano i responsabili di una compromissione della capacità simbolica, riscontrata negli hoarders adulti.
Da qui - eccetto che nei casi spiegabili esclusivamente a livello neurologico - si può inferire la stretta correlazione esistente tra i problemi interpersonali e i disturbi da accumulo - aspetto, questo, particolarmente visibile negli accumulatori di animali, in riferimento ai quali il coinvolgimento della sfera affettiva pare molto evidente anche ad un occhio inesperto). Le cose, quindi, diventano affetti concreti, nell’ottica dell’accumulatore, che probabilmente corrisponde ad un soggetto che evita le relazioni o e da cui ne esclude difensivamente il proprio repertorio emotivo - aspetto rilevato anche dalla ricerca nei bambini con attaccamento evitante e disorganizzato, i quali, nella SSP (Strange Situation Procedure) orientano la propria attenzione verso gli oggetti.
4. Interventi integrati
Le strutture ossessive, secondo l’ottica psicodinamica (si rimanda al pensiero di Ogden), sono legate a un tipo di pensiero magico-ritualistico, secondo il quale pensare coinciderebbe con l’agire e, per corollario, nell’accumulatore l’avere coinciderebbe pertanto con l’essere.
Inoltre, si è osservato come l’accumulo di oggetti non sia totalmente casuale, e anzi, seguendo le libere associazioni è possibile giungere a complessi psichici che ne attestano la forte valenza simbolica ed emozionale, tanto, da essere rilevabili come fantasie compensatorie a sostegno di bisogni narcisistici, e cioè connessi all’autostima dell’individuo.
Secondo l’ottica strategica e quella sistemica sono i contesti fisici e relazionali che contribuiscono (spesso ingenuamente) a strutturare e ri-creare le condizioni che alimentano l’accumulo stesso. In tal senso, introducendo delle logiche paradossali all’interno questi giochi, l’eccessivo disordine si distruggerebbe per apoptosi.
La terapia cognitivo-comportamentale propone di aumentare, anzitutto, la consapevolezza e la percezione del problema, instaurando in colui che accumula le carenti capacità metacognitive. In un secondo momento di agire sui pensieri disfunzionali tramite l’accrescimento delle skills.
A livello psicofarmacologico, sono risultati utili gli SSRI, fluoxetina e fluvoxamina.
Infine, uno dei seting migliori, risulta essere quello di gruppo, in quanto in grado di spezzare quel circolo di vergogna, isolamento sociale e inerzia che accomuna - segretamente - il nucleo identitario dei partecipanti. E’ lecito pensare che l’accumulatore riempa i suoi vuoti - e cioè gli oggetti in senso psicoanalitico - con degli oggetti reali (le cose), proiettando su essi affetti e desideri di vicinanza.
“ Le cose assumono un’anima per osmosi” (il Disturbo da accumulo, p.37)
È in questo senso che gli interventi terapeutici a livello di gruppo, quale luogo e spazio colmo di movimenti relazionali, si pongono come veicolo elettivo in grado di ristrutturare il mondo interiore.
“Il nostro rapporto con loro [con gli oggetti] somiglia, in tono minore, a quello dell’amore tra persone: per amare qualcuno, l’altro deve essere un altro me stesso, uguale a me per sentirmi in sintonia con lui, ma, contemporaneamente, anche diverso da me, affinché mi completi in ciò di cui sono carente. Se fosse troppo uguale a me, una specie di copia perfetta, non avrei bisogno di lui; se fosse troppo diverso, uscirebbe dalla mia orbita e diventerebbe irraggiungibile. …
Salvare gli oggetti dalla loro insignificanza o dal loro uso puramente strumentale vuol dire comprendere meglio noi stessi e le vicende in cui siamo inseriti (…)”.
~Remo Bodei in “La vita delle cose”.
E’ vero, dunque, che i pensieri sono cose - afferma E. Holmes [ si rimanda nella bibliografia a fondo pagina ] nel suo libro - ma non è vero l’opposto: le cose non sono pensieri. E’ quest’ultima affermazione che, a parere di chi si scrive, si pone verosimilmente come profonda credenza patogena nell’accumulatore.
Gli elementi comuni alla base del DA sono, dunque, una serie di problematiche relazionali connesse all’autostima che hanno, via via, portato gli individui che ne sono affetti ad accumulare, prediligendo tale abitudine come migliore strategia adattiva. Tuttavia - agendo su credenze, emozioni e comportamenti - è possibile cambiare le proprie abitudini per mezzo di un percorso psicologico e, se necessario, psichiatrico.
“L’hoarders trova l'holding nei propri oggetti.” ~dott. Maurilio Verdesca (Psicoanalitica_Mente)®
CONCLUSIONI
• Ma quanti millimetri intercorrono tra un appassionato e tra un accumulatore?
Gli stessi che separano un mobile e un soprammobile, tra l'uso e il disuso, la funzionalità dalla disfunzionalità, tra la passione che muove dall’ossessione che immobilizza.
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