Pensateci bene. Non di rado ci chiediamo e siamo intenti a comprendere come giungiamo a conoscere gli altri ma noi stessi… come ci conosciamo? Ve lo siete mai chiesto? Freud partiva dal presupposto (nella sua seconda topica) che vi fossero tre istanze in conflitto costante, poste come le tre funzioni alla base della personalità: L’es, l’Io e il Super-io. La questione , per quanto possa apparire complessa, si presta a una facile sintesi: l’io è prima di tutto corporeo-somatico, e di esso riusciamo a conoscerne i desideri, i sintomi, i segni - detto in altro modo - i simboli che rimandando ad altro e cioè ai profondi bisogni di tipo selvaggio che animano quella parte dell’animo rettiliano. Già Freud, tuttavia, assume - seppur implicitamente - come per conoscere noi stessi necessiteremmo dell’altro e, in riferimento alla nostra digressione, di un terapeuta in grado di instaurare una relazione significativa con noi. In breve, siamo già a un punto centrale di quello che vorrei sottolineare con le parole di M. Buber: “Attraverso il tu l’uomo diventa io”.
Ora, a prescindere dal modello di apparato mentale a cui si rifacesse Freud, risulterà chiaro come l’aspetto relativo a due soggettività che si influenzano vicendevolmente sia scolpito e si ponga alla base di qualunque idea di terapia psicologica.
È utile, perciò, partire dall’assunto che il nostro percorso di conoscenza si compie attraverso gli altri. Quando siamo degli infanti emettiamo dei segnali comunicativi ed assumiamo un linguaggio molto simile a quello degli animali organizzati in stormi o in branchi, ci sintonizziamo sulle regolarità. Siamo degli esseri dotati di capacità di imitazione e sintonia sin dai primi istanti di vita. Quando una madre ad es. è in grado di restituirci una emozione dolorosa in forma nuova, noi conosciamo una nuova emozione, o meglio una nuova sfumatura di essa; così che ad es. un mal di pancia potrebbe essere esperito come immensamente cattivo ma allo stesso tempo come esperienza di incontro e di consolazione, aiuto. Nella teoria dell’attaccamento, le risposte che la madre da al bambino nel tempo sono a dir poco determinanti per prevedere lo stile, per così dire, e le aspettative generalizzate che il bambino si farà sugli altri circa i propri bisogni, la sua autostima e le sue modalità di agire o reagire. È questo il fondamento della teoria della mente. A questo punto mi sembra opportuno poter virare in ambiti più pratici. Pertanto, vi inviterò a pensare a come tutti questi temi siano collegati alla creatività.
Essa, potrebbe essere definita come la capacità dell’uomo di introdurre e percepire nuovi contesti, di costruire realtà inedite rispetto ai canoni e ai repertori culturali in qualche modo usuali. L’arte è allora una lingua, con un proprio codice basato più su aspetti emotivi che denotativi. Vi è mai capitato di ascoltare un brano in lingua sconosciuta, o addirittura strumentale, e di emozionarvi lo stesso? Magari è uno dei vostri preferiti, è questo che intendo quando dico che la creatività corrisponde a una comunicazione sottile, basata su linguaggi differenti, su codici dai confini interpretativi più malleabili e credetemi, tutto questo non c’entra nulla col talento. Tuttalpiù potrebbe centrare coi processi preriflessivi e preverbali a carico dei processi primari, cui ognuno dispone per natura. Lo stesso autore viennese, poi Jung e Fromm, parlavano di energia psichica (libido) desessualizzata, grezza, ed è essa che con l’arte riusciamo a tirare fuori. Come direbbe qualcuno “siamo fatti della stessa sostanza dei sogni[1]”.
Arrivati a questo punto, vi starete chiedendo cosa leghi l’arte alla conoscenza di noi stessi?
Ecco, per renderne ragione dobbiamo tornare ai primi anni della nostra vita. Quando una madre risponde in maniera troppo aderente ai bisogni del bambino (quando è sufficientemente buona) crea poco spazio di fraintendimento semiotico, restringendo per così dire le possibilità di interpretazione da parte dell’infante. La madre, sarebbe in quest’accezione, alla stregua di uno specchio troppo fedele che non invia una risposta, bensì, risponde rilanciando la medesima domanda, non ristrutturata di senso alcuno; al contrario, quando una madre risponde in maniera eccessivamente inedita può portare il bambino a ricevere una risposta fuorviante, relativa a una domanda, di contro, non hai mai posto. E non dovete immaginare che A causi B, ma che in questo senso ogni tentativo di comunicare si amplificherà in senso circolare. Va da sé immaginare quanto l’intersoggettività e comunicazione, basate nei primi mesi di vita su regolarità sensibili che richiedono stabilità e flessibilità, talvolta rottura e riparazione, influenzi lo sviluppo umano emozionale e simbolico. Pensate a una madre sufficientemente buona, essa da spazio di manovra al bambino, riserve risposte rassicuranti, rispecchiamenti ma insature che, in altre parole, lasciano posto a propri spazi di attribuzione di significato. La creatività a mio parere, a livello strutturale e funzionale, deriva tutta da qui, ossia, dalla capacità contenuta e guidata che il bambino apprende nell’immaginare, ne restare solo a esplorare, e insieme a commentare i limiti e gli anfratti della propria mente e quella altrui. Di immaginare il possibile e l’impossibile. Il sé e il non sé.
Molto del nostro contratransfert si basa su questi ricordi, quanto apprendimenti procedurali o schemi cognitivo-affettivi esperiti durante l’infanzia. Se la creatività è però un apprendimento può implementarsi. E quanto conta nel nostro lavoro e nella vita essere capaci di divergere e convergere? Come già detto abilita del terapeuta dovrebbe essere quella di colludere o collidere col paziente quando necessario, di rispecchiare attivamente o di non rispecchiare adeguatamente. La terapia è un gioco ed è un metodo ma la soluzione del problema non esclude la creatività. Si può essere creativi rispettando i canoni e le proporzioni (basti pensare all’uomo Vitruviano di Leonardo Da vinci) potremmo forse non esserlo noi nel rispetto dell’etica e delle nostre norme deontologiche?
Sviluppare la nostra capacità di creare è uno dei migliori investimenti che possiamo fare su di noi e sui nostri rapporti interpersonali.
E’ per questo che nel mio tempo libero mi dedico alla musica, alla scrittura e talvolta alle foto o ai video, e persino il disegno. Con esso poi ho un rapporto sadomasochista, ma non importa. Lo uso come vero stimolo evacuativo emozionale, finisco sempre col buttare via quello che disegno perché in senso simbolico mi fa stare bene pensare che una parte di quello che avevo dentro è andata via. L’arte, che è una modalità prodotta dal funzionamento metaforico-creativo della mente serve anche a questo. Non è forse la sublimazione il meccanismo di difesa più maturo e sano a cui possiamo aspirare di ricorrere?
10 ESERCIZI PER CONOSCERTI E AUMENTARE LA TUA CREATIVITA’
Vi proporrò pertanto alcuni esercizi per stimolare la vostra creatività e conoscervi meglio.
1) Cogli le forme vitali, poi il contenuto.
Movimento, tempo, forma, spazio, intenzione/direzionalità sono i parametri in grado di descrivere quelle che si definiscono Forme Vitali. Esse descrivono il come si compie un’azione e spesso sono descrivibili unicamente come aggettivi. Sono ciò che nel cinema, nell’arte e nelle orazione chiamiamo comunicazione non verbale. Prova a definirle, coglierle, la tua percezione te ne sarà grata.
2) Impegnati a non impegnarti
L’ansia sebbene sia l’altra faccia della creatività, quando supera i livelli critici paralizza la capacità di creare, irrigidendo i limiti del nostro pensiero. L’arte è per definizione spontanea, quando ti accingi a creare qualcosa o a comunicarlo prova talvolta a farlo nella maniera più spontanea possibile, decidendo di poter sbagliare. "Colora non rispettando i contorni", si potrebbe sintetizzare così questo consiglio. A volte, è proprio dall’imperfezione che nasce l’elemento originale e creativo.
3)Disegna con la tua mano sinistra (per i destrimani)
Disegnare con la mano sinistra stimola l’emisfero destro, connesso alla creatività.
4)Colora con colori inusuali
Utilizza colori differenti per dipingere i volti, la natura. Cercando più di dipingere il tono dei tuoi affetti e delle tue emozioni, che quello della realtà. Un buon esempio sarebbe ispirarsi ai quadri dei post espressionisti.
5)Scrivi una poesia illustrata.
Disegna una poesia utilizzando solo le immagini mentali, dopo di che prova a metterla per iscritto.
6)Tieni un diario formato da parole chiave.
Questa tecnica si basa sulla regola delle libere associazioni. Scrivi una catena di parole, decidi tu se 5 o 10 per ogni giornata. Alla fine di ogni settimana prova a scrivere, utilizzandole, un resoconto generale.
7)Trova una canzone per ogni paziente o persona significativa, e scrivi le emozioni che ti dona quella canzone. Quindi, associala in maniera logica.
Questo esercizio ti permette di ragionare se sei un terapeuta sul controtransfert, altrimenti, più in generale sulla tua capacità di mentalizzare e cioè di esplorare i modi con cui ti rapporti agli altri, sviluppando maggiore consapevolezza su di te.
8)Scrivi una lettera a te stesso, ma non usare parole, utilizza vignette o per così dire bozze, schizzi velocissimi. Dopodiché seguendo gli schizzi scrivi una lettera a te stesso.
È simile all’esercizio 5 ma segue un’ottica maggiormente autobiografica.
9)Prova a scrivere le tue paure sotto forma di racconti, dagli un preciso set narrativo con personaggi nomi e quant’altro.
Questo esercizio sfrutta la capacità plastica della mente, attribuendo significato e contesto alle nostre emozioni siamo in grado di conoscerle e gestirle meglio.
10) Quando ricordi un sogno, scrivilo su un diario apposito. Nel tempo leggendo tutti i tuoi sogni potresti ottenere un romanzo bellissimo, il genere - quello che più ci importa capire - lo deciderai tu.
I migliori romanzi e le grandi opere musicali sono nate dal sogno, il regno dell’irrazionale e del creativo, tenere raccolta dei propri sogni come se fossero opere di narrativa ti permette di monitorare ed inferire il tuo mondo interno. Oltretutto, alla fine, sarai in grado di attribuire un genere al tuo romanzo, deducendo quale siano i temi e le emozioni centrali che popolano la tua parte più nascosta. E poi, chi lo sa, potresti pensare di renderlo un vero e proprio volumetto, lavorandoci. Unisci l’utile al dilettevole.
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Bibliografia consigliata
Freud, S. (2013). Opere complete. Bollati Boringhieri.
Jung, C. G., Freeman, J., von Franz, M. L., von Franz, M. L., & von Franz, M. L. (1991). L'uomo ei suoi simboli. Tea.
Jung, C. G. (2014). Il libro rosso: liber novus. Bollati Boringhieri.
Holmes, J. (2014). John Bowlby and attachment theory. Routledge.
Fromm, E. (1971). Psicoanalisi dell'amore: necrofilia e biofilia nell'uomo. Newton Compton Italiana
Winnicott, D. W. (2012). Playing and reality. Routledge.
Fonagy, P. (2018). Affect regulation, mentalization and the development of the self. Routledge.
Watzlawick, P., Beavin, J. H., & Jackson, D. D. (1971). Pragmatica della comunicazione umana. Astrolabio, Roma, 35
Stern, D. N. (2011). Le forme vitali: l'esperienza dinamica in psicologia, nell'arte, in psicoterapia e nello sviluppo. Cortina.
[1] (W. Shakespeare, La tempesta, atto IV, scena I)
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