• Dopo aver divorato DARK non vi sentirete più gli stessi di prima, saprete abbozzare una risposta alla domanda più ardua del mondo, a un dilemma di gran lunga maggiore dell’“essere o non essere”, e cioè quello che recita “è nato prima l’uovo o la gallina?”. Alla fine di questo percorso saprete, beatamente, che entrambi sono nati insieme – poiché la domanda non è come, non è perché tantomeno dove: bensì “ la domanda è quando.”
"La distinzione tra passato, presente e futuro è solo un’illusione ostinatamente persistente" Dark è una serie Netflix effettivamente diversa dalle altre, sicuramente molto emozionante ma, a renderla tanto appetibile, non è solo questo. Farne una sintesi - credetemi - è oggettivamente impossibile. Quanto detto è constatabile solo alla luce del dipanarsi dei diversi piani intrecciati che mescolano trama, genogrammi, moti psicologici e ambientazioni spazio-temporali in modo magistrale, tanto da rendere ogni ingrediente di questo cocktail così magicamente simbiotico e indivisibile dall’altro. Insomma rendere fedeltà a Dark, dal punto di vista meramente descrittivo, è opera difficile, non a caso – a parer di chi scrive – è definibile il telefilm della complessità.
Ora, cimentatandovi in uno sforzo titanico, provate a tenere insieme Einstein, Rovelli e Pauli con Jung, Freud (espressamente citato nella prima stagione), Blanco, dunque legateli al gruppo di Palo Alto, al nichilismo di Nietzsche ed, infine, infornate il tutto nella teoria dei sistemi complessi. Ebbene sì, è da questo mix centripeto e centrifugo che schizza fuori cotanta bellezza emergente.
Protagonista di questa serie tv è il tempo, antagonista della stessa è ancora il tempo. Ciò che è insieme bene e male, amico e nemico, vento a favore e vento contro, vincolo e risorsa. È letteralmente il tempo dunque a generare gli spazi, ed è proprio in tali spazi che l’essere umano si muove o meglio - come il film sostiene - viaggia. Caratteristica geniale di questa serie è il talento dei registi nel veicolare teorie quali quelle della sincronicità (le coincidenze significative), inconscio collettivo (e i sogni), dell’eterno ritorno o del principio di Heisenberg senza mai – e dico davvero mai – risultare eccessivamente macchinosi o incoerenti. I personaggi, inoltre, si tingono di tonalità Kafkiane nella misura in cui non hanno scampo ai loro disegni, i loro destini, le loro maschere. Condannati, perciò, a recitare un copione nel quale la stessa negazione o fuga dal proprio ruolo è parte stessa delle sue battute. Un gioco folle, insomma, in cui nascondere vuol dire mostrare, e accomodare significherebbe assimilare. Nessuno, in tal senso, ha possibilità di rendere le cose differenti, di cambiare il corso degli accadimenti o di essere un risultato improvviso d’un calcolo inedito – può solo confermarsi simile nella propria struttura, in maniera ingenua ed autoreferenziale. Il caso in questo mondo televisivo non esiste, il caso è necessità.
Ogni linea in quest’oscurità è parte d’un disegno perfetto in cui la singolarità è pensata per essere al momento giusto al posto giusto, in onore di una trama più grande e multidimensionale, a cui il singolo non può mai accedervi interamente. Non basterà nemmeno il salto quantico dei Jonas (visibile nell’entanglement finale) a riscrivere la storia in modo quanto meno antieroico.
Dark è un sistema complesso che funziona da sé, nel quale ogni livello risulta auto-organizzato in maniera sinfonica, esibisce una peculiare coerenza interna e tanta buona musica da vantare (la sigla è firmata Apparat & Soapskin).
Le due stagioni narrano le vicissitudini di un gruppo di abitanti di Winden che, per giungere al proprio processo di individuazione, si trova per così dire sempre più incastrato in sé stesso, in un loop infinito di feedback e feedforward, costituito da verità e bugie via via più profonde e misteriose, avulse dai confini temporali e locali. E’ in questo senso che agire vuol dire compulsivamente “essere”, compiendo inconsapevoli danze cicliche ed ossessive, le stesse che regolano il funzionamento dell’universo – sia esso osservato a livello macroscopico che microscopico. Sappiamo essere l’inconscio in sé privo della dimensione di spazio e di tempo, dotato di plasticità neuro-ricostruttiva tale che “non è solo il passato a influenzare il futuro, ma è il futuro stesso a influenzare il passato” – lì dove ad es. per futuro intendiamo i nostri desideri, le nostre credenze e ambizioni, e per passato i nostri ricordi. Per intenderci, ciò che se ne inferisce è che la dimensione inconscia della mente sia organizzata secondo i principi tipici della dimensione implicita del tempo. In questo senso le coincidenze significative o i sogni non sono altro che una conferma della propria via o sintomi tematici in risonanza con una dimensione più profonda, fatta di inizi che hanno le sembianze d’una fine e viceversa.
Il mondo, in questa accezione, è creato così (<<sic mundus creatus est>>) dal basso all’alto e dall’alto in basso - come recita parte della Tavola di Smeraldo tatuata sulla schiena di Noa, uno dei protagonisti.
In questa serie esiste anche l’idea del determinismo psichico, nella misura in cui ogni personaggio non può essere diverso da sé stesso per degli accadimenti insostituibili, inevitabili e profondamente personali, come a dire che noi siamo incommensurabilmente proprio la nostra storia – e che il tempo sia in realtà lo spazio in cui essa si espande, a ritmo delle restanti altre esistenze. Così, analogamente, viene performata una concezione di mente come quella concepita prima da Freud, Blanco, M. Erickson e cioè priva del principio di identità e di negazione – in cui ognuno può essere padre e figlio di sé stesso, in momenti diversi – e in cui, ognuno coglie il presente come risultato delle influenze reciproche derivanti dall'interazione tra i differenti piani temporali sincronici e diacronici. Tuttavia, ciò avviene in maniera circolare e ricorsiva, svilendo una concezione lineare del tempo.
Ci basti pensare alla memoria che è ricostruttiva tale da orientare il presente in base al futuro (i desideri inconsci) che regolano la nostra vita, che è già passato e mai – ineffabile – presente. Una serie in cui il deja-vu acquista il senso che molti di noi almeno una volta nella vita hanno ingenuamente immaginato. Una serie in cui il tempo diviene, come nelle pennellate di Picasso, la quarta dimensione plasmante – in grado di mettere in crisi i concetti di libero arbitrio e di profezia che si auto-avvera, attentando ai nostri gradi di libertà. Il tempo della mente e dell’universo sono, insomma, prodotti soggettivi e limitati che ci involvono senza soluzione paradossale di continuità, originandosi e risolvendosi puntualmente nel Tempo 0. Una serie, per concludere, in cui ordine e disordine, entropia e neghentropia sono concetti cari ai registi e – al contempo – in grado di far appassionare nella più genuina incomprensione di essi anche i profani.
Dark è la trama di un sogno ad occhi aperti – la reverie Bioniana – in cui “il principio è la fine e la fine è l’inizio”.
Ho amato questa serie poiché nulla più di essa, a partire dalla propria peculiare (fanta)scienza, ha tentato di cogliere e descrivere un pizzico dell’immane enigma che racchiude lo sfuggente disegno alla base delle radici umane, con un pizzico di struggente nostalgia e inspiegabile fascino.
Chepeau, dunque, ai due registi Baran bo Odar & Jantje Friese, ahimè, a cui nessuno ancora ha dedicato una pagina Wikipedia italiana.
• Voto delle prime due stagioni: 9/10
Conclusione: Molto interessante, così tanto interessante da farci una tesi di laurea - ma questo, mi insegna il caro Jonas, è meglio che lo lasci fare al mio futuro io, per l'esattezza... fra trentatré anni.
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